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Titolo: L'esempio di Le Creusot

Descrizione: Presentazione del Musée de l'Homme et de l'Industrie, l’ecomuseo della comunità urbana di Le Creusot-Montceau-les-Mines presso il dipartimento della Saône-et-Loire. L’articolo si avvicina al tema con taglio storico, narrando l’avvio della fonderia della famiglia Schneider nel XIX secolo, per poi descrivere l’ecomuseo inaugurato negli ex-locali industriali. Castelnuovo identifica come carattere fondamentale di questa tipologia di musei il legame con le comunità e col territorio in cui si installano, augurandosi che quello di Le Creusot possa diventare un modello per il Piemonte.

Autore: Enrico Castelnuovo

Fonte: La Stampa, anno 112, n. 84, p. 13

Editore: La Stampa; digitalizzazione: Archivio storico dell'Università di Torino (2023)

Data: 1978-04-14

Gestione dei diritti: Licenza Creative Commons
Quest'opera è distribuita con Licenza Creative Commons Attribuzione 4.0 Internazionale

Relazione: Inventario del fondo Enrico Castelnuovo, unità archivistica «La Stampa» (Archivio storico dell'Università di Torino)

Formato: application/pdf

Identificatore: Stampa_2

Testo: «La Stampa» – Anno 112, n. 84 – Venerdì 14 aprile 1978, p. 13
(pagina l’arte)



L’esempio di Le Creusot



Negli antichi principati tedeschi si trova talora una città che nella disposizione delle sue strade, del castello, dei monumenti, porta il marchio chiarissimo di questo o quel principe elettore che l’ha fondata, rinnovata, dominata. Un celebre esempio ne è Karlsruhe dove il castello principesco è il punto di riferimento dell’intero reticolo viario, e dove il fondatore, landgravio di Baden, è sepolto entro una piramide al centro della piazza principale.
Mutati alcuni elementi una simile situazione la troviamo nel cuore della Borgogna, a Le Creusot, sede di un moderno principato borghese, quello industriale degli Schneider: qui l’abitato che si arrampica sulla collina è preso in tenaglia in basso dai grigi capannoni delle officine, ed è dominato in alto dal castello, simbolo della potenza del padrone.
Al momento del loro insediamento, nel 1856, e del lancio delle fonderie, gli Schneider avevano acquistato l’edificio settecentesco costruito per la Cristallerie Royale di Maria Antonietta, ne avevano addirittura conservato gli alti forni conici per i cristalli che si alzano all’entrata della corte, trasformandoli all’interno l’uno in una cappella, l’altro in un piccolo teatro. Accanto al castello la piazza principale è marcata al centro se non da una piramide – come a Karlsruhe – dal monumento al fondatore della dinastia Eugène I, che Michel-Antoine Chapu, prolifico scultore della Terza Repubblica, ha rappresentato in bronzo come una specie di borghese assoluto, un dominatore balzachiano in abito da città, con il mantello sottobraccio.
Altrove un monumento ricorda il luogo dove Adolphe Schneider morì cadendo da cavallo e tutto nella città, dai simboli monumentali ai nomi delle strade, alle cappelle funebri nelle chiese, ricorda l’onnipresenza della grande famiglia. É il caso limite di una dominazione che fu anche simbolica ed esercitata con tanta forza che quando il parco del castello fu acquistato dal Comune e aperto al pubblico, dopo che il feudo degli Schneider era confluito in una multinazionale del gruppo Empain, gli abitanti attesero due o tre anni prima di prendere l’abitudine di frequentarlo.
Nella cappella ricavata entro il forno a cristalli è ora la sala d’esposizione della galleria d’arte moderna della città, mentre nel maniero degli Schneider è installato l’Ecomuseo della comunità urbana di Le Creusot-Montceau-les-Mines.
Creazione recente gli Ecomusei hanno dietro di sé una lunga vicenda che prende le mosse dalla polemica che fin dal 1830 ha opposto in Germania i partigiani di un museo estensivo di tipo etnologico a quelli di un museo intensivo esclusivamente artistico, che ha un seguito con le esperienze scandinave di musei di tradizioni popolari e di folclore (Nordiska Museet di Stoccolma, Dansk Folkmuseum di Copenaghen, Norsk Folkemuseum di Oslo), per giungere fino ai musei-ateliers dove i visitatori vedono, e possono essi stessi utilizzare, gli strumenti e gli oggetti esposti. Su questi precedenti si è appoggiata la riflessione di Georges-Henri Rivière, cui si deve la radicale e innovatrice trasformazione (1973) del Musée des Arts et Traditions Populaires di Parigi, e che degli Ecomusei è stato l’ispiratore.
Il nome del nuovo organismo vuole sottolinearne il legame prioritario e attivo con l’ambiente (in genere gli Ecomusei sono situati all’interno di parchi e riserve naturali), ma, nel caso di Le Creusot dove l’ambiente è stato più che altrove profondamente strutturato e modellato dalla storia passata, vengono a integrarsi in esso le concezioni e le pratiche di tanti musei (da quelli etnologici a quelli storico-locali, da quelli scientifico-tecnologici a quelli di storia naturale) unite tutte dal comune denominatore del territorio. Di ogni aspetto del territorio l’Ecomuseo vuol raccogliere e salvare le testimonianze: strumento di riappropriazione da parte degli abitanti della propria memoria, del proprio passato, delle proprie tradizioni, esso si propone come scuola, come laboratorio, come punto di partenza di un’attività che coinvolga l’intera popolazione della zona e non solo il pubblico degli abituali frequentatori.
Questo di Le Creusot è d’altra parte l’organo coordinatore della vita culturale di una comunità, nata dalla riunione di sedici comuni adiacenti, dominati tutti dalla grande concentrazione industriale sviluppatasi nell’Ottocento dall’integrazione tra il bacino carbonifero di Montceau-les-Mines e il centro metallurgico di Le Creusot, ma ciascuno con storie e tradizioni diverse. Pur all’ombra della costellazione industrial-urbana i molti Paesi della comunità sono rimasti sino a pochi anni fa a uno stadio di civiltà agricola, sì che all’interno della stessa area si vivono stadi di sviluppo diversi.
Nascono di qui i molteplici orizzonti e poli d’interesse dell’Ecomuseo, ed è significativo il fatto che un organismo tanto diversificato, operoso a tanti livelli, nasca proprio in un’area dove per oltre un secolo tutto è stato dominato, e in un certo senso appiattito, da un poderoso sviluppo industriale a senso unico. Insomma l’interdisciplinarietà al paese della monocultura.
Punto di partenza e luogo di convergenza di tante attività l’Ecomuseo tende a mettere in luce, senza gerarchizzarle, le differenti storie culturali che si sono sviluppate nei paesi della comunità, intende esplorare nei suoi vari aspetti la base ambientale, la piattaforma, su cui si sono intrecciate le diverse vicende. Di qui il dispiegarsi delle sue varie manifestazioni, la creazione di collezioni stabili e l’organizzazione di esposizioni temporanee (ultima la bella mostra sulla rappresentazione del lavoro, attualmente aperta alla Maison de la Culture di Grenoble, su cui si dovrà ritornare), la coordinazione del censimento architettonico della regione, la raccolta di testimonianze orali, l’esplorazione dei fondi archivistici.
Un punto fondamentale per l’equipe che lavora nel castello è di giungere a un’azione culturale differenziata nei sedici Comuni — in ognuno dei quali esiste un’«antenna» del museo — che metta l’accento secondo le caratteristiche storico-sociali e culturali di ciascuno su aspetti particolari, salvando e riportando in luce forme e oggetti di culture subalterne ed egemoni, estinte o in via di sparizione: da quella monastica, proposta dalla presenza nell’area comunitaria di un antico priorato cluniacense, a quella contadina, a quella operaia del XIX secolo.
Nella sua azione l’Ecomuseo incontra grossi problemi, al suo interno possono scontrarsi concezioni diverse: la riappropriazione del passato che propone agli abitanti può intendersi in diversi modi, conflittuali o unanimisti. La dicotomia tra museo come luogo di collezioni e museo come centro dinamico di attività non è facilmente risolvibile, ancor meno l’integrazione e la visualizzazione di serie di oggetti dalle diverse specificità in un unico organismo. Ma nei suoi problemi, nelle sue difficoltà come nei suoi successi l’Ecomuseo deve essere un oggetto di riflessione a chi lavori al decentramento delle attività culturali, al loro allargamento. Un esempio che potrebbe essere studiato con profitto e che potrebbe fornire dei suggerimenti per le azioni da svilupparsi nei comprensori recentemente istituiti all’interno delle Regioni. Per molti aspetti la vicenda di Le Creusot non è poi tanto distante da quanto è avvenuto in larghe aree del Piemonte nel corso dell’ultimo secolo.
Enrico Castelnuovo
NOMI CITATI

- Carlo III Guglielmo, mangravio di Baden-Durlach
- Chapu, Henri-Michel-Antoine
- Empain group
- Maria Antonietta, regina di Francia
- Rivière, Georges-Henri
- Schneider et Cie
- Schneider, Adolphe
- Schneider, Eugène


LUOGHI E ISTITUZIONI CITATI
- Borgogna [Francia]
- Copenaghen [Danimarca]
o Dansk Folkmuseum
- Grenoble [Francia]
o Maison de la Culture
- Karlsruhe [Germania]
- Le Creusot [Francia]
o Manufacture Royale des Cristaux et Émaux de la Reine Marie-Antoinette
o Musée de l'Homme et de l'Industrie - Écomusée Creusot Montceau
- Montceau-les-Mines [Francia]
- Oslo [Norvegia]
o Norsk Folkemuseum
- Parigi [Francia]
o Musée national des Arts et Traditions Populaires
- Piemonte
- Stoccolma [Svezia]
o Nordiska Museet

Collezione: La Stampa

Citazione: Enrico Castelnuovo, “L'esempio di Le Creusot,” Enrico Castelnuovo sulla carta stampata. La Stampa e Il Sole 24 Ore, ultimo accesso il 20 maggio 2024, https://www.asut.unito.it/castelnuovo/items/show/14.